Il respiratore di Giovanni Nuvoli è stato staccato all’una di notte. Tre ore e un quarto dopo il suo decesso. Tanta era l’ossessionata paura dell’atto di «staccare la spina», di quell’espressione tanto efficace quanto brutalmente sbrigativa, che le autorità riunite (da dieci mesi) al capezzale di Nuvoli hanno preferito cautelarsi lasciando che il ventilatore automatico pompasse aria in un corpo morto da ore. È questo il simbolo di un potere impotente, che avrebbe voluto aiutarlo, ma che si è dimostrato incapace a scongiurare il peggio. Giovanni Nuvoli in modo nobile, radicale, ha scelto la sua morte. Una morte dura, ma forte di una estrema lotta non violenta. È morto dopo otto giorni di sospensione del cibo e dell’acqua, dei quali due giorni pienamente vigile e capace di intendere e di volere, i rimanenti giorni sotto sedazione (anche se si è «svegliato» un paio di volte anche durante quei giorni, ci si può immaginare in quale stato), con accanto la moglie costretta a vegliare sul corpo del marito in attesa che si prosciugasse e morisse nel silenzio. Giovanni Nuvoli ha scelto la sua morte non mettendosi a livello di uno Stato che impone il protrarsi di una tortura atroce. Quando il medico anestesista radicale dell'”Associazione Luca Coscioni”, Tommaso Ciacca, su richiesta reiterata di Nuvoli e dopo diverse visite di numerosi specialisti, si recò a casa sua per praticare il distacco del respiratore sotto sedazione, fu fermato dalle forze dell’ordine su volontà della Procura e del Tribunale di Sassari. L’Italia dei fautori della «buona tortura» contro la «buona morte» applaudì, dal giornale della Conferenza Episcopale Italiana fino alla stampa locale. Soltanto una settimana dopo si sono dovuti arrendere al coraggio e alla forza di un uomo che aveva già sopportato oltre quanto umanamente sopportabile, e che aveva perciò deciso di interrompere l’assunzione di cibo e di acqua. Ma invece di obbedire finalmente a Nuvoli, come impone la Costituzione e il rispetto umano, consentendo al medico Ciacca di intervenire, lo Stato ha a questo punto deciso che era meglio (eticamente? legalmente?) lasciarlo morire un po’ alla volta. Erano tutti d’accordo: «giustizia» (quale?), forze dell’ordine (quali?), Sanità (quale?), e certamente anche parte del sistema dell’informazione (lo stesso che aveva definito Ciacca «dottor morte»). Seguendo la volontà di Nuvoli, abbiamo in questi giorni accettato anche noi, come la moglie e chi lo amava, la consegna del silenzio. Abbiamo obbedito a Giovanni, che ha scelto l’estrema lotta nonviolenta e che ha accettato alcuni giorni di aggravamento clandestino della sua tortura come prezzo da pagare per non andare incontro a nuovi mesi o anni di ulteriore violenza e sequestro del suo corpo. Ora Giovanni Nuvoli riposa in pace. Ma questo «prezzo» di infame violenza sul suo corpo è responsabilità dello Stato italiano, delle azioni e omissioni di questi giorni e mesi. La vicenda giudiziaria sul caso Welby era stata determinante per creare paura e diserzione dagli obblighi professionali nei confronti di Giovanni Nuvoli, basti pensare ai notai che non ne riconoscevano la volontà, o ai medici che abbandonavano il collegio costituito attorno a Ciacca. Alla luce dell’esito positivo del procedimento contro Riccio, il modo opposto in cui hanno terminato i propri giorni Welby e Nuvoli sono la rappresentazione più chiara, almeno per chi è interessato a capire, che in nessuno dei due casi era in gioco una scelta tra «vita» e «morte» (con i rispettivi «partiti»), ma tra una morte nel rispetto della volontà e dell’umanità da una parte e una morte nell’agonia dall’altra, quando quella volontà non è rispettata.
Grazie a Piergiorgio e Giovanni siamo ora meglio attrezzati per impedire che troppi altri debbano subire tanto dolore.
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